“Nessuna assoluzione per Anidra, il giudice ha disposto solo l’improcedibilità dell’azione penale”
Subito dopo l’udienza del procedimento per diffamazione aggravata di tre esponenti della associazione olistica Anidra nei confronti delle due associazioni nazionali di volontariato CESAP (Centro studi abusi psicologici) e FAVIS (Associazione familiari vittime delle sette) i responsabili dei social del Centro Anidra hanno espresso la loro versione della sentenza, che non corrisponde a quanto effettivamente è stato deciso dal giudice.
Dimostrando di non saper leggere le sentenze o di voler continuare a diffondere falsità.
Il Tribunale di Genova, infatti, nella sentenza del 2 aprile 2024 celebrato davanti alla Prima Sezione Penale del Tribunale di Genova, Giudice dott. Gabriele Dallara, non ha assolto gli imputati dall’accusa di diffamazione, ha solo pronunciato l’improcedibilità dell'azione penale, optando per l’interpretazione tradizionale della legge secondo la quale il reato non è avvenuto in presenza, e ha demandato al Giudice Civile ogni questione inerente il risarcimento del danno.
La sentenza del 2 aprile 2024 è scaturita da un’interpretazione del reato di diffamazione (art. 595 c.p.) secondo la quale il reato penale si realizza nel momento in cui la persona offesa è presente durante l’atto diffamatorio.
Al processo le Difese degli imputati hanno sostenuto che il reato si sia realizzato nel maggio 2023, data di pubblicazione del post. Mentre per Cesap e Favis, ammesse a parte civile, gli avv. Donatella Casini e avv. Paolo Florio del Foro di Firenze hanno chiesto venisse applicato l'orientamento seguito da alcuni Tribunali (Milano) e da alcune più recenti tesi inerenti la diffamazione via web, per il quale il reato esiste fin quando il post offensivo non viene rimosso.
La vicenda nasce nel 2018, quando Roberta Repetto, di 40 anni, aderente del centro olistico Anidra di Borzonasca, ha perso la vita presso l’Ospedale di San Martino a Genova. Secondo la Procura di Genova, Roberta morì a seguito di diffuse metastasi, che si erano sviluppate dopo che per lungo tempo si era fidata dei consigli spirituali, delle indicazioni e dei trattamenti a lei impartiti presso il Centro Olistico Anidra, astenendosi dal ricorrere alla medicina tradizionale.
A seguito di tali fatti i responsabili di Cesap e Favis - Lorita Tinelli e Maurizio Alessandrini- avevano sollecitato l’intervento degli Ordini Nazionali dei Medici e degli Psicologi, quello del Ministro della Sanità ed il Ministro del Parlamento, affinché prendessero iniziative per limitare la diffusione di teorie e trattamenti non supportati da rigorosi riscontri scientifici, da cui potevano derivare conseguenze talora letali.
A propria volta, il centro olistico Anidra aveva replicato sul proprio sito con un post - che tuttora risulta presente - per il quale poi la Procura di Genova aveva disposto la citazione diretta a giudizio nei confronti di tre responsabili del Centro Anidra, ritenendo tale scritto offensivo della reputazione di Cesap e Favis.
Tratti a giudizio per diffamazione aggravata sono stati Vincenzo Lalla, Francesca Cambi e Teresa Cuzzolin, per avere pubblicato sul sito del Centro Olistico Anidra, per le seguenti frasi pubblicate: "Apprendiamo da alcuni organi di stampa che pseudo – associazioni, dalla dubbia legalità e credibilità, in lotta per il ripristino del reato fascista già abrogato perché incostituzionale, vogliono equiparare e far credere che i centri olistici siano delle sette. Purtroppo la ricerca di pubblicità a buon mercato da parte di profittatori privi di ogni cognizione di causa può solo generare confusione oltre che alimentare sospetti sulla professionalità degli operatori del mondo olistico compresi i soci ed i collaboratori del Centro Anidra che non risultano né indagati né accusati di alcunché”.
Cesap e Favis, congiuntamente, hanno dichiarato: "Sorprende non poco l'atteggiamento trionfalistico del Centro Olistico Anidra, laddove dichiarano di avere ottenuto una piena assoluzione a Genova 'perché il fatto non sussiste'. Molto più semplicemente, il Giudice non ha rilevato che ci fossero i presupposti per procedere in sede penale, scegliendo l'interpretazione normativa più tradizionale, anziché quella più recente, ma lasciando al Giudice civile ogni diversa valutazione. Cosa che non potrebbe esistere in caso di assoluzione dell'imputato."
Ecco la sentenza
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